Mestieri dell'emigrazione stagionale Alpina
Anciué e Cavié 'd la val Mairo
Diego Crestani
Attraverso interviste rivolte agli anziani ed il recupero di documenti anche iconografici, l'autore ci fornisce un profilo, per alcuni versi inedito, di questi lavori nati dall'ingegno e dal bisogno della gente della montagna. Ogni anno nella ricorrenza di Sant'Anna, la borgata di Castellaro di Celle Macra Diversi motivi stanno alla base di questo imponente esodo ma, senz'altro, povertà e miseria ne sono la causa principale. Ragioni di sopravvivenza hanno dunque portato il montanaro lontano dalla sua terra e dalla sua cultura d'origine, caratterizzata dalla parlata provenzale o occitana, che dalle valli alpine cuneesi e torinesi si estende sino ai Pirenei. Questo sapere tradizionale ha espresso un complesso sistema simbolico a volte ancora attivo, come quello che si può osservare in occasione della festa della badia di Sant'Anna. Durante tale ricorrenza calendariale, un gruppo cerimoniale che attiene a quelle occasioni maschili che, per molti secoli, hanno gestito una vasta parte del tempo festivo contadino non solo in area alpina, ma in larga parte dell'Europa, funge ancora da scorta armata religiosa durante la messa e le processioni attorno alla chiesa. La tradizione si ripete ogni anno grazie anche alla partecipazione attiva degli emigrati che ritornano Questo mestiere itinerante, insieme a quello dei raccoglitori di capeili esercitato Gli uomini di Elva scendevano dall'alta montagna alla ricerca di donne disposte a sacrificare i propri capelli fatti crescere appositamente, tanto da formare una lunga treccia. Dopo una complessa contrattazione che poteva durare anche tutto il giorno, le donne solitamente ricevevano in cambio un pezzo di stoffa e un foulard che serviva a coprire il loro capo dopo l'approssimativa e traumatica rasatura. In questo scambio rientravano pure i capeili che rimanevano nel pettine (i cavei del pentu), accumulati in un sacchetto nel corso dell'anno. Il recupero dei capelli che cadono quotidianamente durante la pettinatura, spiega emblematicamente l'economia di sussistenza e la povertà, che caratterizzavano la montagna ancora nella prima metà di questo secolo. Le pratiche e le tradizioni connesse a questi due interessanti mestieri itineranti fanno ormai parte dell'incerto e labile archivio della memoria orale che si va perdendo definitivamente, in sintonia con la scomparsa delle generazioni più anziane. Dobbiamo essere grati a Diego Crestani che ha recuperato questo sapere tradizionale conducendo un'attenta indagine sul terreno. Attraverso interviste rivolte agli anziani e con il recupero di documenti anche iconografici, egli ci fornisce un profilo, per alcuni versi inedito, di questi lavori nati dall'ingegno e dal bisogno della gente della montagna. Ci pare infine opportuno evidenziare l'impegno della Comunità Montana Valle Maira che, con la pubblicazione della ricerca, prosegue nell'esemplare opera di recupero, conservazione e riproposta del patrimonio della valle. Una delle poche aree alpine non deturpate da particolari interventi speculativi e che conserva ancora rilevanti tratti culturali tradizionali. Basti pensare ai diversi riti e cerimonie che scandiscono il calendario delle stagioni ed in particolare al carnevale di Villar d'Acceglio che ripropone personaggi mitici fra i più arcaici che ancora si possono osservare nell'arco alpino. Questi beni culturali la cui conservazione e persistenza sono oggi funzione dell'isolamento e della marginalità che hanno caratterizzato lo sviluppo della valle Maira diventano, alle soglie del terzo millennio, una preziosa e rara risorsa. Un patrimonio sempre più indispensabile per l'uomo che vive il tempo artificiale della società urbana contemporanea e che ricerca nella tradizione le proprie radici e i tratti etnici perduti nell'esplorazione quotidiana della complessità. Piercarlo Grimaldi Università di Torino |
si ringrazia Dinou 'd choia per la cortese collanotazione
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