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Personaggi di Vallata : :

Alberto Burzio
Giornalista-Scrittore

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Personaggi di Vallata

Alberto Burzio
(Barba Bertu)

Giornalista-Scrittore

ALBERTO BURZIO, IL GIORNALISTA-SCRITTORE
CHE AMA LE PERSONE SEMPLICI

Frassino - Valle Varaita
Telefono : (+39) 0175 976102
Cell (+39) 347 5825566

Continua la pubblicazione di alcune "Storie di vita", raccolte da Alberto Burzio negli ultimi 30 anni.
  • 20 - LUIGI BOVERI - racconta del bimbo ebreo ucciso dalle SS - L’intervista è del 3 settembre 2009.

    LUIGI BOVERI,
    che racconta del bimbo ebreo ucciso dalle SS
    «I soldati nazisti ci avevano messi a fare delle fosse per la strada, per rallentare l’arrivo dei carri armati russi. Davanti ai miei occhi, c’era una colonna di donne ebree, e io sapevo già la triste fine che avrebbero fatto, nei forni crematori… Una donna, magra, aveva il suo bimbo sulle spalle, in un sacco. Due nazisti si sono avvicinati a lei: uno con il calcio del fucile l’ha picchiata sulla schiena, e quella povera madre è finita a terra. L’altro nazista ha preso il bimbo nel sacco e l’ha lanciato in aria: il suo compagno ha ucciso a mitragliate quella piccola creatura. Poi hanno costretto la donna a rialzarsi. Io avevo la pala in mano, e il primo istinto è stato quello di darla in testa al nazista, ma un mio compagno mi ha fermato: “Stai fermo, Boveri, sennò uccidono anche te!”»: ha gli occhi lucidi per il pianto, e fa fatica a parlare, Luigi Boveri, agricoltore per una vita in Val Tanaro.
    Luigi Boveri è nato il 24 ottobre 1922 («Ho seri problemi di salute e la vecchiaia mi pesa») da famiglia contadina, in frazione Garbenna di Bagnasco. Oggi vive a Pievetta.

    AL PASCOLO
    Quando era bambino con cosa giocava?
    «Con niente! Non giocavo, andavo al pascolo, avevamo una decina di mucche. Eravamo quattro figli, sono restato soltanto più io e questo mi rattrista».
    Quando è stato preso prigioniero?
    «Era il 9 settembre 1943, ero soldato nell’Artiglieria Alpina e mi trovavo a Bressanone. Attaccati dai tedeschi, eravamo scappati nei boschi: eravamo una decina di soldati. Avevamo niente, una bomba a mano e due caricatori, impossibile resistere! La nostra idea era di andare in Svizzera. Una sera che avevamo fame siamo scesi in una osteria: abbiamo mangiato qualcosa, eravamo vicino a Merano. Poi abbiamo chiesto all’oste come fare per attraversare l’Adige, lui ci ha consigliati di passare un ponte, dove non ci sarebbe stato nessuno. E invece c’erano dei tirolesi, nascosti, che si sono messi a sparare! Ci hanno presi prigionieri: tre miei amici, vestiti, si sono buttati in acqua (Burzio, Giordano e Cavaglià): li hanno feriti e anche loro sono finiti deportati in Germania. Burzio, ferito ad una spalla, è stato il primo a morire nel campo tedesco».

    PRIGIONIERO DEI TEDESCHI
    Il viaggio in Germania?
    «Ci hanno caricati su un carro del bestiame. Eravamo 65 persone, è durato tre giorni: non ci hanno niente da mangiare! Facevamo i nostri bisogni in una grossa borraccia, tagliata, di un alpino. Chi non riusciva, faceva i propri bisogni in un angolo. Durante il viaggio non sapevo bene cosa ci aspettava».
    Dove era il campo di prigionia?
    «Era in Prussia orientale. Eravamo in tanti. Nella baracca eravamo una quarantina di prigionieri e dormivamo in letti a castello. La sveglia al mattino era alle sei: il maresciallo tedesco arrivava urlando e chi tardava si prendeva un secchio di acqua gelata addosso! Vestiti non ne avevamo, solo quello indossavamo».
    E a colazione?
    «Non ci davano niente! Solo un litro di una brodaglia di rape più un piccolo pane, da dividere fra sette persone. Nel pane nero c’era un po’ di tutto, anche paglia e segatura.
    Poi raggiungevamo a piedi una miniera, e dopo 12 ore rientravamo nella baracca, disfatti e senza forze. Per più di dieci mesi sono stato una larva di 38 kg di peso, prima pesavo 75 kg».

    “PREGAVO DIO”
    Come ha fatto resistere in quell’inferno?
    «Pregavo Dio e speravo di poter rivedere mia mamma. Le SS picchiavano con il nervo di bue, e guardi qui la ferita alla mia gamba, perché avevo cercato di prendere una manciata di bucce di patate. Mi hanno fatto sanguinare e ho dovuto continuare a lavorare in miniera, anche se ferito».
    Ha visto morire tanti suoi compagni?
    «Sì, purtroppo. E ho ancora gli incubi di notte, certe scene come faccio a dimenticarle? Ricordo l’aguzzino tedesco che tira l’acqua gelata al mattino alle sei su un mio compagno che era restato nel letto, perché era morto».
    Come è possibile che l’uomo si possa ridurre a tanto?
    «Parlavamo fra compagni di prigionia, e pensavamo: “Nostro Signore non doveva permettere tante atrocità”.
    Invece è successo, e io sono stato prigioniero per 23 mesi e 17 giorni».
    Chi vi ha liberati?
    «Sono stati gli americani, che ci hanno portati a Dusserdolf, dove c’era un campo di smistamento. Non eravamo più abituati a mangiare, ci hanno dato cioccolato e gallette, ma noi abbiamo fatto attenzione, e abbiamo ripreso a mangiare poco a poco. Altri miei compagni no, e sono morti di peritonite, dopo aver mangiato toppo».
    Quando ha letto di quel vescovo che nega lo sterminio degli Ebrei, cosa ha pensato?
    «Ci sono stato male. Come mai gli permettono di dire simili falsità? È inconcepibile, mi sono arrabbiato! Quel prete non conosce la storia»

    IL RITORNO A CASA
    Si ricorda il ritorno a casa?
    «Uno dei momenti più belli della mia vita! Era il 17 agosto 1945. Ricordo i tanti pianti che ho fatto, con i miei cari, non riuscivamo nemmeno a parlare».
    E dopo la guerra?
    «La vita è ripresa, piano piano. Ho conosciuto Anna Luzzo, ci siamo sposati il 26 maggio 1951, dopo tre anni di fidanzamento. Siamo una coppia felice, soffriamo di fronte alle coppie che si sfasciano. Non ci sono più valori. Abbiamo due figlie, Graziella e Alba, una famiglia stupenda che ci ha dato e ci dà tante soddisfazioni!»
    La vita come è?
    «È difficile, ma per essere felici basta sapersi accontentare.
    E se il Padreterno le propone di vivere un’altra vita?
    «Sì, ma basta con le guerre!».
    L’intervista è finita. E pensando a cosa ha patito il contadino Luigi Boveri, ci viene in mente un pensiero del Frate eremita Francesco Maria Bono: «Davanti ai deportati, pensando alle enormi sofferenze che hanno patito, dobbiamo inginocchiarci».


    L’intervista è del 3 settembre 2009
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  • Bed & Breakfast Barba Bertu

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